La leggenda narra che la Janara fosse una donna con una vasta conoscenza dell’occulto, della magia, capace di lanciare malocchi ma che, a differenza della strega, fosse una persona insospettabile perché capace di interpretare, di giorno, il ruolo di una brava persona, sempre presente nelle messe domenicali, rivelando poi, di notte, la sua vera natura oscura, piena d’odio e d’invidia. Pare che si riunisse insieme alle sue simili ai piedi di un antico noce beneventano, sulle sponde del fiume Sabato per esercitare diversi rituali. San Barbato, stufo di tali facezie, fece tagliare l’antico noce. Tuttavia, lo stesso albero sarebbe ricresciuto nel corso dei secoli, rimanendo sempre il luogo d’incontro delle streghe.
Da Benevento, la leggenda si diffuse ben presto nel resto della Campania e Caserta la strega assunse caratteri diversi. Qui, si narra che potesse infilarsi dappertutto: talvolta tramutandosi in vento, talvolta strisciando sotto le porte come olio.
La Janara è, in origine, Dianara, sacerdotessa della dea Diana, signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti. E divinità delle donne, cui assicurava parti non dolorosi. Da Dianara a janara il passo etimologico è breve. Come tutti gli esseri magici ha carattere ambivalente. Conosce i rimedi delle malattie e sa scatenare tempeste. Per questo ci sono janare cattive e janare buone: le buone, di solito, sono quelle che hanno figli e sono esperte in fatto di erbe medicamentose: sanno riconoscere quelle con poteri narcotici e stupefacenti dalle altre che usano con vantaggi.